“La cena delle anime” di Maria Laura Berlinguer: un romanzo “vivo”

La cena delle anime” di Maria Laura Berlinguer (HarperCollins) è un romanzo vivo. Lo si avverte fremere sotto le dita, si sente un cuore che batte tra quelle pagine.

È un romanzo fortemente sensoriale: attraverso le descrizioni molto vivide della scrittura di Maria Laura Berlinguer ci si sente totalmente coinvolti nella storia, ed è come fare una immersione. “La cena delle anime” vi toglierà e vi darà respiro.

TRAMA – In Sardegna, nella notte tra Ognissanti e il due novembre, le tavole vengono apparecchiate per accogliere i defunti. Per sa chena pro sos mortos si tirano fuori le migliori tovaglie ricamate, i piatti delle feste, l’aria si riempie di profumi di erbe e pane, in attesa che le anime tornino nelle case che hanno amato. Tutto questo Iride Dessì non lo ricorda più. Vive da anni lontano da Padria, il paese nel cuore aspro e luminoso del Meilogu, dove è cresciuta. È solo la morte del padre che l’ha riportata lì. Nella grande dimora dei Dessì, ricchi possidenti di Padria, tutto è rimasto com’era e nelle stanze cariche di memorie pare quasi di sentire gli avi sussurrare. È Tata, la donna che si è presa cura di lei quando era bambina, custode di saperi antichi e segreti mai rivelati, a guidare Iride tra le ombre che sembrano abitare ogni angolo. E che chiedono di essere ascoltate… Per caso o per destino, una vecchia fotografia, ingiallita dal tempo, induce Iride a sfogliare le pagine del grande libro del passato, e a imbattersi in Mimì Oppes, trisavola ribelle destinata a un matrimonio infelice. Così, Iride ripercorre una storia che ha il sapore della leggenda, rivive l’amicizia profonda tra Mimì ed Elisabeth Hope, donna inglese incredibilmente libera e indipendente, e l’amore travolgente e inatteso con Emanuele Manca, un leggendario bandito che faceva parlare di sé a Padria.

La cena delle anime” è un romanzo nel quale si intrecciano vite, destini, tradizioni e magia, il potere di antiche civiltà e di chi ha passeggiato sugli stessi luoghi prima di noi, lasciando le proprie orme, i propri dolori.

Ci muoviamo su due piani narrativi, un presente che è racconto, che rivelazione, che è scoperta, nel quale troviamo Iride Dessì tornata a Padria, il suo paese d’origine, per il funerale del padre. A inizio romanzo ci viene così descritta: “Aveva creduto, un tempo, che lasciando il paese avrebbe trovato quello che cercava. Ma i suoi sogni non si erano realizzati. E il peso di quel fallimento l’aveva tenuta lontano dall’isola, che adesso sembrava ricordarglielo […] Un’estranea, ecco cos’era. Un’estranea che nascondeva il proprio senso di colpa. Ora, però, ogni parola e ogni sguardo le rammentavano gli anni trascorsi senza fare quasi mai ritorno”.

Iride è una donna che crede di aver compiuto delle scelte sbagliate, piena di rimpianti. Una donna che non sa più chi è, o forse non l’ha mai saputo. Tornata nella casa in cui è cresciuta, Iride a un certo punto osserva una serie di fotografie e si sofferma su una in particolare, di cui non trova traccia nella sua memoria. Lì sono ritratti Paola, bisnonna di Iride, insieme al padre Augusto Dessì e alla zia Ada.

Questa fotografia è l’occasione per Tata, tzia Manuella, la donna che si è presa cura di Iride quando era bambina, custode di saperi antichi e segreti mai rivelati, di guidare la nostra protagonista tra le ombre del suo passato che adesso chiedono di essere ascoltate, e di raccontarle una storia taciuta fin troppo a lungo.

Così la narrazione ci riporta indietro, al 1899, dove non è Paola che conosciamo, bensì Mimì Oppes Dessì, sua madre. Anche lei, come Iride, sembra vivere una vita distante dai suoi sogni. La sua storia si intreccerà a quella dei tanti personaggi raccontati da Maria Laura Berlinguer con estrema maestria.

La cena delle anime” è un romanzo corale nel quale la narrazione alla terza persona, con un narratore che tutto sa e tutto vede, consente al lettore di dare una sbirciata tre le intenzione dei personaggi, i loro pensieri e le loro motivazioni. Questa schiera di secondari è gestita molto bene dell’autrice, che ha saputo trovare nel romanzo un perfetto equilibrio, dando a ognuno di loro il giusto spazio all’interno della narrazione, ma anche – e soprattutto – il giusto peso all’interno dello svolgersi della trama.

Tata capisce che è arrivato il momento giusto per raccontare questa storia anche perché si sta avvicinando la cena delle anime, un particolare momento dell’anno, nella notte a cavallo tra il primo e il 2 di novembre, in cui si apre un varco tra i due mondi, quello dei vivi e quello dei morti.

“Nella nostra cultura, gli antenati sono il legame tra passato e futuro”, continuò Tata, cercando i suoi occhi. “Sono come le radici per l’albero: fondamentali per la crescita, per le foglie e i frutti. […] Il tempo non è una linea retta fizighé. Il tempo è circolare, e i morti tornano. I nostri morti vivono accanto a noi”.

Maria Laura Berlinguer fa vivere nel suo romanzo un gesto della tradizione sarda, che ancora non è andato del tutto perduto, per parlarci di memoria, di ricordi, di segreti, e per dirci soprattutto che i morti non sono “cattivi”, ma che le loro anime possono fare ritorno per aiutarci, per indicarci la strada, in un gesto salvifico e di cura.

La trama di questo romanzo è così ricca e intrecciata che non posso dirvi di più. Aggiungo soltanto che le ultime cento pagine scorreranno via veloci perché ovviamente si vuole sapere, si resta con il fiato sospeso fino alle rivelazioni finali.

Nei ringraziamenti de “La cena delle anime” si legge: “Questo romanzo si nutre di quell’eredità, intrecciando memoria, presenze invisibili e storie che, in un modo o nell’altro, continuano a vivere. Perché le storie, come le anima, tornano sempre, per chi è disposto ad ascoltarle”.

Ci sono storie che non vogliono essere dimenticate, e credetemi se vi dico che quella narrata da Maria Laura Berlinguer ne “La cena delle anime” non la dimenticherete facilmente.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *