“L’americana” di Heddi Goodrich: bello, ma…

L’americana” di Heddi Goodrich (Giunti) è stato una sorprendente scoperta, specie per le capacità narrative dell’autrice. Eppure, a mio avviso, ha qualche pecca.

TRAMA – «Non lo so ancora, ma il fine settimana in cui Anita Palomba trova me, la sua figlia americana, è lo stesso in cui perde l’uomo della sua vita…» Frida ha sedici anni quando dall’Illinois approda a Castellammare di Stabia per uno scambio culturale. È un mondo di contrasti quello che la aspetta, un paesaggio in cui la schiuma bianca dell’acqua batte sulla sabbia nera vulcanica, in cui la roccia, gli alberi scuri del monte Faito incontrano il mare azzurro del golfo di Napoli, in cui la pastasciutta deborda dai negozi di Gragnano con le insegne schiarite dal troppo sole… È un mondo in cui gli opposti interagiscono e si completano, proprio come vuole il Tao: terra e acqua, giorno e notte, bene e male, italiano e dialetto. Un anno di scuola e di vita in una famiglia italiana rappresenteranno per lei una stagione di scoperte, di shock culturale, di entusiasmo, di amore, di dolore e di crescita, in un sovvertimento di sensi che, ancora una volta dopo Perduti nei Quartieri Spagnoli, affascina e spiazza il lettore italiano offrendo un punto di vista empatico, sorprendente, su di noi e sulle nostre vite. Ma su tutti, da subito, Mamma Anita s’impone come un personaggio grandioso: estroversa, carnale, priva di schemi, un ciclone di donna che afferra Frida con impeto eppure, a suo modo, con delicatezza, portando una ragazza che è poco più di una bambina nel mondo delle donne adulte, dei sentimenti, delle passioni, dei tormenti interiori, una formazione anche dura, in cui gli schiaffi si alternano alle carezze. Così Frida cresce, attraverso l’educazione di Anita e la storia d’amore con Raffaele, un ragazzo lontano dal suo mondo e vicino a quello della camorra, e che però, più di tutti, porta impresso il marchio di una ferita, di una bruciante dolcezza.

“Sogni d’oro, Fri'” dice alle mie spalle. Come mi piace quando mi chiama così. Ricorda la parola inglese free, liberandomi un po’ dal peso del mio nome.

Heddi Goodrich scrive in italiano e lo fa con una grazia e una padronanza che sorprendono. “L’americana” è un susseguirsi di parole in cui perdersi, senza pensare a chi le abbia scritte, ma solo lasciandosi cullare dalla storia – dalle storie – che raccontano.

Sì perché di storie ce ne sono tante. Quella di Frida, di Anita, di Umberto. Quella di Raffaele, del Monte Faito, di Michele. Storie che si intrecciano a leggende, a miti, che forse, a un certo punto, specie dalla seconda metà del romanzo in poi, diventano un po’ troppe.

Anita è IL personaggio del libro. È lei “L’americana” e non quella ragazzina arrivata dall’altra parte del mondo. È lei a essere un intero mondo, piena di vita, di bellezza in tutte le sue forme, un miscuglio di praticità e poesia, di illusioni e disincanto. È lei a cui aggrapparsi e a cui dire addio. Per poi ricominciare da capo.

Mi è piaciuto il modo in cui Heddi Goodrich gioca con la luce, che diventa disuguaglianza sociale, qualcosa da rincorrere o da cui fuggire, appiglio o spiraglio.

Luci e ombre descrivono luoghi e persone, si fanno portatrici di senso, ci invitano a nasconderci o a mostrarci.

In quelle descrizioni c’è tutta la conoscenza di un territorio che è diventato casa per l’autrice. Si capisce dal modo viscerale in cui lo descrive, quella maniera che smette di essere imparziale anche senza volerlo. C’è uno sguardo nuovo, eppure familiare, che restituisce un senso di stupore ma allo stesso tempo di quotidianità.

Ritengo però che il romanzo si dilunghi troppo in alcune parti, rischiando di diventare prolisso o ripetitivo. Come ho già detto prima, a mio avviso ci sono troppe di quelle storie parallele, inserite per raccontare il territorio e non solo.

Allo stesso tempo, la storia tra Frida e Raffaele arriva a sfilacciarsi, in una ripetizione monotona di gesti, prima di dare quello scossone finale che travolge e stravolge.

Con qualche pagina in meno, per quanto mi riguarda, “L’americana” sarebbe stato molto più scorrevole e godibile. Per fortuna lo stile di Heddi Goodrich riesce a tenere vivo l’interesse fino all’ultima pagina.

3 pensieri riguardo ““L’americana” di Heddi Goodrich: bello, ma…

  • 11 Ottobre 2021 in 8:40 am
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    Tutto è perfettibile su questa terra… A me il romanzo è piaciuto molto, mi riporta alla mia gioventù. E penso che Castellammare di Stabia meriti questo affettuoso omaggio.

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    • 11 Ottobre 2021 in 8:45 am
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      Per carità, il mio è solo un giudizio meramente soggettivo. Magari abbiamo vissuto il libro in modo diverso, la magia della lettura è anche questo.

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  • 7 Dicembre 2021 in 9:18 pm
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    Un linguaggio concreto che ci mescola alla bellezza del Sud. Personaggi vivi, credibili con le contraddizioni di chi cerca la felicità in un contesto difficile. Le storie ed i miti mi hanno ricordato “Gli alunni del sole” di Marotta

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