“Ogni ricordo un fiore” di Luigi Lo Cascio: uno stupefacente gioco linguistico

“Ogni ricordo un fiore”, opera prima di Luigi Lo Cascio (Feltrinelli), non è un libro semplice, né da leggere, né da recensire. Una scrittura “alta”, come si suole dire, quella dell’attore e regista palermitano, che mi ha impegnata e appassionata come non mi succedeva da tempo.

TRAMA – In viaggio da Palermo a Roma, di ritorno dal funerale del padre di un amico d’infanzia, per isolarsi dal battibeccare costante dei suoi compagni di vagone, Paride Bruno decide di lanciarsi in un’impresa epica: rileggere i suoi duecentoquaranta (e oltre) tentativi di romanzo, tutti interrotti al primo punto fermo, e decidere infine cosa farne. Paride Bruno, infatti, ha cercato di cimentarsi in ogni genere e stile possibili, senza mai riuscire a sceglierne uno, portare a termine un’opera e potersi così dire scrittore. Ma proprio questi tanti cominciamenti narrativi disegnano, tassello dopo tassello, la figura del protagonista: in ognuno degli incipit è contenuta una scheggia della sua vita, delle sue ossessioni, delle sue paure e dei suoi desideri. La vita stessa, in fondo, pensa Paride Bruno, finisce sempre per essere incompiuta, “uno svolazzo di pagine sparse”. Più simile ai fiori deposti sulla tomba dell’uomo a cui ha appena dato l’addio: ogni fiore a rappresentare un ricordo, ogni ricordo a tesserne la storia, “come se fosse un mantello di Arlecchino”.

È un gioco linguistico, qualcuno lo chiamerebbe virtuosismo, quello che Luigi Lo Cascio consegna al lettore nel suo “Ogni ricordo un fiore“. Un viaggio in treno, da Palermo a Roma, che in realtà è un mettersi a nudo del protagonista (e anche dell’autore) attraverso oltre duecento incipit di romanzi.

Avrei voluto tanto poter dire: “Mi chiamo Paride Bruno e di mestiere faccio lo scrittore”. Ma fatti e risultati non hanno mai deposto a mio favore.

Alcuni di questi incipit sono lapidari, un paio di righe soltanto, ma contengono già il seme di una storia che si vorrebbe leggere: “Un anno dopo tornò in sé senza trovarsi”. Altri sono più lunghi, alcuni senza punteggiatura, in prima persona, in terza, tristi, macabri, ironici. Insomma, si trova davvero di tutto, e nelle sue forme più svariate. Alcuni li ho trovati di una bellezza struggente e ho fatto fatica a voltare pagina, sapendo che ci sarebbe stato un nuovo inizio e non una continuazione.

Le nostre lacrime non sono pronte: è ancora troppo giovane il dolore; ma la certezza che lo scempio arriverà costringe gli occhi, in quest’ultima notte, a stare all’erta sul ciglio del pianto.

Ma cosa si cela davvero dietro questi incipit? A prima vista sembra esserci un continuo senso di incompiutezza, il fallimento del nostro protagonista che non è riuscito a scrivere nulla che vada oltre l’inizio di una storia. Eppure, a ben guardare, in quelle poche righe o pagine, ci sono riflessioni profonde e di grande impatto.

A mio avviso rimangono centrali alcuni temi: il dualismo vita/morte, in che modo conduciamo la nostra esistenza, il rapporto padre/figlio.

“La vita è una morte a priori”, “È la morte la sola effettiva esperienza che incombe”, si legge. Ne seguono, inevitabili, le considerazioni sull’esistenza, su come ci “configuriamo” nel mondo, se la nostra è solo “un’insistenza” quotidiana, se saremo mai pronti a scrivere la parola fine senza lasciare nulla in sospeso.

E in queste riflessioni si inseriscono le figure dei genitori, anche se si parla più spesso del padre: “Nessuno dei due genitori l’aveva desiderato, per cui prima di nascere aveva già cominciato a morire”; “Mentre si dà la vita già si condanna a morte”.

Per me è stato come se Luigi Lo Cascio mi avesse lanciato degli input, mi avesse mostrato alcune cose da una prospettiva diversa, invitandomi non per forza a far mie alcune delle sue riflessioni, ma comunque a prestarci attenzione. Mi sono sentita chiamata in causa, ho sentito costante, per tutto il libro, la volontà di coinvolgere il lettore in queste brevi annotazioni. L’autore ha aperto uno spiraglio, sta al lettore decidere se aprire la porta o meno.

Leggendo mi sono anche chiesta: e se queste riflessioni non fossero altro che una maschera sotto cui si celano delle domande? E se questi inizi fossero il modo che ha trovato il nostro autore per ragionare su temi a lui cari? Quanto c’è di autobiografico in questo romanzo?

Di certo c’è anche tanta Sicilia: nei paesaggi, negli atteggiamenti, nelle storture, nelle contraddizioni; c’è Palermo, con il liceo Cannizzaro e il ricordo della libreria l’Aleph che adesso in vetrina ha prodotti cinesi. Passaggi in cui per me è stato facile ritrovarmi, ma che non creano esclusione, dato che si configurano come tasselli di un disegno molto più ampio. Ci sono anche tante esperienze intime che delineano i contorni del nostro protagonista, ma che lanciano anche un fascio di luce sul nostro autore.

Nacque a Palermo, in quel tempo ormai remoto in cui genti e fedi diverse portavano ai luoghi ricamo di ricchezza e vanto e non l’imbastitura dell’inferno.

Ho sempre ritenuto Luigi Lo Cascio un uomo di grande cultura, e “Ogni ricordo un fiore” me lo ha confermato. In queste pagine ho trovato riferimenti alla narrativa italiana del Novecento, influenze di filosofia antica, come Aristotele (“La vita è un sovrappiù rispetto all’addizione che prova a combaciare i suoi frantumi”), e teologica, per quei passaggi in cui si parla di Dio (Uno o Due? E in un attimo il neoplatonismo è stato spazzato via!) e di creazione.

Di certo ce ne sono moltissimi che non sono stata in grado di cogliere, ma non è questo il punto: alcune riflessioni sono di carattere così generale e allo stesso tempo intimo che non possono lasciare il lettore indifferente. Luigi Lo Cascio ci pungola, ci guida tra i suoi ragionamenti, ci offre tanti spunti, sta a noi decidere cosa farne.

Dato che “Ogni ricordo un fiore” non segue una struttura narrativa classica non è di facile lettura. In più, la scrittura particolarmente ricercata – qualcuno l’ha definita barocca – di Luigi Lo Cascio, impone al lettore una concentrazione molto alta e i sensi in continua allerta. Non voglio scoraggiare nessuno, anche perché ritengo che il libro sia molto bello, ma se avrete voglia di fare questo viaggio è bene essere consapevoli di quello che andrete a leggere.

Una copia in formato digitale di questo libro mi è stata gentilmente inviata dalla casa editrice Feltrinelli.

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