“Le otto montagne” di Paolo Cognetti vince il Premio Strega 2017: ecco perché è un libro che va letto
Da oggi sono una star! Vi state chiedendo cosa possa essere successo questa notte per farmi diventare una star? Paolo Cognetti ha vinto il Premio Strega 2017 con il suo libro “Le otto montagne” (Einaudi), che io ho presentato qualche tempo fa a Palermo alla libreria Modusvivendi. Quindi, ho presentato un Premio Strega! E sono automaticamente una star! Dite che non funziona cosi? Beh, per aver letto e amato “Le otto montagne” sono comunque una privilegiata.
“Le otto montagne”, nel suo essere un libro di formazione che parla di adolescenza, famiglia, amicizia, affermazione personale, è candidato a diventare un classico dell’età contemporanea. Un libro da introdurre in tutti i programmi ministeriali d’insegnamento (lo dissi, ai tempi, anche de “La versione di Barney” di Mordecay Richler, e ne sono tuttora convinta ma spero stavolta il Governo mi dia retta, visto che si tratta per di più di un italiano!). Se avessi un figlio oggi – ma forse anche domani – questo libro glielo regalerei senza dubbio, anche prima del “Piccolo principe” di Saint-Exupéry.
Perché “Le otto montagne” parla ai giovani di oggi con franchezza ma lo fa col linguaggio dei sogni; sogni che si realizzano non con una bacchetta magica o uno schiocco di dita, ma con il travaglio (che ci travolge quando ancora dobbiamo identificarlo, tra mille, il sogno giusto da inseguire per essere davvero noi stessi), l’impegno, il sacrificio e la continuità. Un viaggio lungo una vita in cui avere una spalla è fondamentale, qualcuno in cui riconoscersi, da cui differenziarsi e su cui appoggiarsi: ne “Le otto montagne” Pietro ha Bruno. Un’amicizia che è famiglia, così come la vita moderna ci ha abituati.
TRAMA – Pietro è un ragazzino di città, solitario e un po’ scontroso. La madre lavora in un consultorio di periferia, e farsi carico degli altri è il suo talento. Il padre è un chimico, un uomo ombroso e affascinante, che torna a casa ogni sera dal lavoro carico di rabbia. I genitori di Pietro sono uniti da una passione comune, che ha dato loro la vita: in montagna si sono conosciuti, innamorati, si sono addirittura sposati ai piedi delle Tre Cime di Lavaredo. La montagna li ha uniti da sempre, anche nella tragedia, e l’orizzonte lineare di Milano li riempie ora di rimpianto e nostalgia. Quando scoprono il paesino di Grana, ai piedi del Monte Rosa, sentono di aver trovato il posto giusto: Pietro trascorrerà tutte le estati in quel luogo “chiuso a monte da creste grigio ferro e a valle da una rupe che ne ostacola l’accesso” ma attraversato da un torrente che lo incanta dal primo momento. E lì, ad aspettarlo, c’è Bruno, capelli biondo canapa e collo bruciato dal sole: ha la sua stessa età ma invece di essere in vacanza si occupa del pascolo delle vacche. Iniziano così estati di esplorazioni e scoperte, tra le case abbandonate, il mulino e i sentieri più aspri. Sono anche gli anni in cui Pietro inizia a camminare con suo padre, “la cosa più simile a un’educazione che abbia ricevuto da lui”. Perché la montagna è un sapere, un vero e proprio modo di respirare, e sarà il suo lascito piú vero: “Eccola lì, la mia eredità: una parete di roccia, neve, un mucchio di sassi squadrati, un pino”. Un’eredità che dopo tanti anni lo riavvicinerà a Bruno.
Nel continuo saliscendi tra montagna e pianura, Pietro imparerà, sempre a sue spese, cosa significhi diventare uomo. E come convivere con la figura del padre, un padre che è sempre un po’ a corto di parole ma che regala passi. La comunicazione tra i due è difficile ma, pure quando si interrompe bruscamente, c’è un’eredità importante a creare nuovi legami oltre la morte.
Da mio padre avevo imparato, molto tempo dopo avere smesso di seguirlo sui sentieri, che in certe vite esistono montagne a cui non è possibile tornare. Che nelle vite come la mia e la sua non si può tornare alla montagna che sta al centro di tutte le altre, e all’inizio della propria storia. E che non resta che vagare per le otto montagne.
È un libro quasi completamente al maschile. Eccezion fatta per la mamma di Pietro, tutti i protagonisti principali, quelli che hanno qualcosa da dire, sono uomini. Eppure “Le otto montagne” non è un libro da maschi. La sensazione è che, nella sua aspirazione a diventare un classico di questa epoca, questo libro – e, dunque, Cognetti – abbia colto con naturalezza lo spirito di questi tempi, annullando le differenze di genere e puntando direttamente alla persona in quanto tale. “Sono le persone che si innamorano, non i sessi”, è una delle affermazioni più forti dei Pride mondiali. Anche l’amicizia tra Pietro e Bruno, più volte indicata dai critici come “equivoca”, non è altro che l’espressione di un sentimento che lega i due ragazzi al di là ogni definizione.
Tra le citazioni più diffuse sul web c’è questa: “Se il punto in cui ti immergi in un fiume è il presente, pensai, allora il passato è l’acqua che ti ha superato, quale che va verso il basso e dove non c’è più niente per te, mentre il futuro è l’acqua che scende dall’alto, portando pericoli e sorprese”, e poi “qualunque cosa sia il destino, abita nelle montagne che abbiamo sopra la testa”: un’immagine che ti conquista anche se sei nata in una città di mare e della montagna hai solo ricordi d’infanzia.
La scrittura di Cognetti in questo libro è precisa e serrata come il taglio di una lama perfettamente affilata. Mi aveva già conquistata con “Sofia si veste sempre di nero”, ma in questo libro lo sforzo linguistico è ancora più evidente: non c’è frase che non ti faccia pensare a un accurato lavoro di cesello, ma senza riuscire mai pesante e ottenendo piuttosto una fluidità delle frasi che ti fa scorrere tra le pagine del libro alla giusta velocità.
Che dire, ancora? Questo Premio Strega 2017 per me è stra-meritato. E ci aspettiamo ancora grandi cose da Paolo Cognetti, con quel pizzico di angoscia che accompagna tutte le grandi aspettative.
Bellissima recensione, invidia al massimo per l’intervista. Cognetti è un idolo, e Le otto montagne dovrebbero leggerlo tutti. Tutti.