“La battaglia delle bambine” di Simona Dolce: una Palermo vera tutta da scoprire

Simona Dolce nel suo libro “La battaglia delle bambine” (Mondadori ragazzi) è riuscita in un’operazione davvero ardua: raccontare Palermo e gli scatti di Letizia Battaglia.

TRAMA – Palermo, agosto 1991: in una strada piena di rumori, vita e odori, cinque ragazzine si alleano contro la banda dei maschi presuntuosi che le ha prese di mira. Agnese ha i capelli e gli occhi castani e sua madre lavora lla Sigma di Libero Grassi, l’imprenditore ucciso per essersi ribellato al pizzo. Marialuce sogna di ballare insieme a Freddie Mercury e non ha paura di nessuno. Elda è molto golosa e con la sorella Marina vive in una casa piena di disciplina e senza neppure un giocattolo. Aurora sembra una principessa, ma nasconde il segreto più grande: suo padre è un boss mafioso e lei sa dove tiene la pistola. Un giorno nei loro giochi spensierati irrompe la realtà, a dimostrare che la mafia non è solo una parola scandita dai telegiornali, ma esiste davvero e si convincono che insieme potranno sconfiggerla. A Palermo c’è anche una fotografa coraggiosa che non vuole lasciarsi sfuggire i volti di queste piccole donne siciliane: a una a una, riesce a catturarle con il suo obiettivo…

Ammetto subito che questo post non potrà essere del tutto obiettivo: come posso fare a mettere da parte il mio vissuto, le mie radici, per raccontarvi “La battaglia delle bambine“? Non posso, mi dispiace. Palermo scorre nelle mie vene, il suo mare e il suo fetore, la sua superbia e il suo orrore, e fluisce anche in quelle dell’autrice, che ha descritto la nostra città in modo lucido e senza equivoci.

Lo ha fatto prendendo un segmento di tempo ben preciso, la fine dell’estate del 1991, e lo ha fatto attraverso gli occhi di cinque bambine che non potrebbero essere più diverse tra di loro, per indole ed estrazione sociale, ma tutte unite dagli stessi dubbi, le medesime paure. E nonostante le “cose adulte” sembrano assumere una “portata gigantesca”, i loro occhi sanno cosa vedono ogni giorno per le strade della loro città. Forse non le capiscono, ma nel profondo sembrano comprendere bene ogni cosa.

Palermo è un “parco giochi troppo vasto” per questi bambini abituati a giocare per strada, ma presto “la città si trasformerà in un labirinto in cui diventare grandi per davvero”. Con quelle radici che infestano, che bloccano e dalle quali spesso si riesce a staccarsi.

Palermo tiene in gabbia, trattiene e respinge. Simona Dolce sa cosa significa e descrive i tratti di questo amore/odio in modo netto, senza fronzoli, senza distrazioni.

Nonostante tutte e cinque siano consapevoli che sta per succedere qualcosa, c’è una calamita a tenerle lì. La curiosità. L’incoscienza. Il principio del gruppo che le tiene unite, a soffrire.

“Se potessero, fermerebbero tutto”, scrive Simona Dolce parlando delle protagoniste della sua storia. Sono bambine, Agnese Marialuce, Elsa, Marina e Aurora. Sono bambine, ma già sanno come funzionano le cose a Palermo, sanno cos’è il pizzo, qual è il boato di una bomba, riconoscono il silenzio improvviso di un intero quartiere.

“Occhi bassi e non guardare, le bambine sanno che questa è una regola importante”. Seguita da quella di “non dire niente”. Fare finta che le cose non succedano, fare finta di non aver visto nulla. E se invece decidessero di agire? E se invece di parlare scendessero in battaglia?

In questo gruppo di bambine, Marialuce è senza dubbio la mia preferita. Con il suo spirito guerriero, con il suo modo di parlare dell’onestà di suo padre, onestà che lo farà rimanere sempre e soltanto un poveraccio. Marialuce è la bambina con il pallone e per chi conosce le foto di Letizia Battaglia sa a quale scatto mi riferisco.

La battaglia delle bambine” mi ha commossa. Per quel suo senso di inevitabilità, per il suo gusto amaro. Per un finale di libertà che sembra momentaneo, fragile. Per il coraggio di queste bambine che non so se rimarrà attaccato alla loro pelle quando diventeranno adulte. Perché un momento può cambiare una vita intera.

Ho apprezzato che Simona Dolce abbia deciso di raccontare una favola dal lieto fine dove però aleggia un senso di allerta costante, un monito a stare sempre con gli occhi aperti. Un invito a non rimane indifferenti, anche se per farlo ci vuole coraggio. Tanto coraggio. Una riflessione sul fatto che non bisogna essere invincibili per fare qualcosa, bisogna comunque tentare.

Alle bambine che leggeranno il romanzo, Letizia Battaglia augura di “conoscere il mondo che è bellissimo e di affidarsi a se stesse. Perché questo rende forti e rende libere”. Ed è un augurio che mi sento di estendere a tutti, grandi e piccoli, bambine e bambini. E che ognuno possa trovare il proprio senso nella parola “libertà”.

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