“Dillo tu a mammà” di Pierpaolo Mandetta: un libro che va accolto e tenuto stretto

Sarebbe impossibile non considerare “Dillo tu a mammà” di Pierpaolo Mandetta (Rizzoli) come un “fatto personale”. Provo a spiegarmi meglio: ci sono quei libri che leggi con distacco, storie che ti coinvolgono ma non ti appassionano o magari parlano di argomenti/sensazioni troppo distanti. Poi ci sono i romanzi che ti danno sfacciatamente del tu, che ti dicono: “Guarda che sto parlando con te”, che ti costringono a un sospiro alla fine di ogni capitolo, per metabolizzare quelle parole che ti sono entrate dentro, piano piano, lasciando un solco.

Pierpaolo Mandetta ha scritto un romanzo che è figlio del periodo in cui viviamo, una storia che è la storia di tutti, scritta con un’elegante ironia che allegerisce verità che pesano come macigni. Ci sono così tante cose che mi ha lasciato su cui riflettere che al momento sono vagamente confusa. Se lo consiglio? Assolutamente sì, ma solo se avete il cuore predisposto ad accogliere queste pagine, che rimaranno lì per un bel pezzo.

TRAMA – I sentimenti non sono semplici, ma con le parole lo diventano. L’amore è sempre una faccenda di famiglia. Samuele ne è convinto, mentre guarda fuori dal finestrino sul treno che da Milano lo trascina verso Sud. Dopo essere fuggito per anni, è finalmente pronto a rivelare ai suoi genitori di essere omosessuale. Con lui c’è Claudia, la sua migliore amica, incallita single taglia 38 e unica donna di cui si fida. Appena arrivano a Trentinara, un grazioso borgo del Cilento, ad accoglierli ci sono i parenti al completo. E la sera, alla festa del paese, il papà ha un annuncio da fare: suo figlio e la fidanzata Claudia si sposeranno a breve. È un vero e proprio shock per Samuele: lui vuole sposare Gilberto, il compagno rimasto a Milano, proprio lo stesso uomo che lo aveva convinto a riavvicinarsi ai suoi. Ma nelle case del Sud è quasi una tradizione che sogni e desideri vengano condivisi in “famiglia”: non solo con mamma e papà, ma anche con quella vecchia zia che si incontra una volta all’anno e persino con la vicina di casa. E così Samuele, per poter essere padrone della propria vita, dovrà fare i conti con un passato che vuole lasciarsi alle spalle; stavolta, però, non è disposto a scendere a compromessi. E adesso chi glielo dice a mammà?

Probabilmente è stato molto difficile scrivere la sinossi di questo libro, il romanzo è molto di più di quello che racconta questa breve descrizione. So che direte “è sempre così”, ma in questo caso specifico lo è ancora di più. “Dillo tu a mammà” racconta il viaggio di Samuele, ma più che da Milano al suo paese, Trentinara, è quello che compie per capire qualcosa di sé, delle sue emozioni, delle sue paure e della sua ansia. Sì, diciamo che l’ansia la farà da padrone per gran parte del libro e anche a me a un certo punto stava venendo qualche colica…

L’arrivo al paese dal quale è scappato è una specie di trauma: “Di nuovo mi risucchia. Di nuovo affoga i miei voleri. Di nuovo, questo Sud non ha la minima idea di chi io sia”. Forse però è Samuele stesso a non sapere chi è. Ad aiutarlo in questo percorso di consapevolezza ci sono una serie di persone, anche loro per la maggior parte emotivamente instabili: l’amica del cuore Claudia, l’ex fidanzato Peppe, il compagno Gilberto, i suoi genitori, l’infinita schiera di zii, i compaesani, persino il gatto Settembre. Con ognuno di loro dovrà rapportarsi e sarà facile pensare quanto Samuele sia egoista, sempre pronto a piangersi addosso quando non avrebbe di che lamentarsi. Claudia gli farà anche una sonora sfuriata:

Sì, sì, sei emotivo! Usi continuamente il tuo carattere per legittimare il tuo presente di merda, e il punto è questo! Le cose ti vanno male da quando ti conosco perché sei quello che sei! Non ti fai mai un esame di coscienza. Ormai non ti ricordi neanche più cosa ti è successo, veramente, di tanto grave, considerando le volte che hai corretto le storie che racconti per risultare uno per cui provare pena. Uno sventurato. Uno che ha motivi continui per essere infelice, perino quando ha tutto! Hai chi ti ama, hai un lavoro ambito da migliaia di blogger in erba, e invece vai avanti come se pregassi il mondo di lasciarti almeno le molliche!

Samuele è diviso tra un passato ingombrante, un presente che gli fa paura (il presentimento schiacciante è che “si accorgeranno del bluff e mi abbandoneranno”), un futuro che non riesce a delineare. Sensazioni che alla fine lo rendono inerme, se non addirittura passivo. E il Sud in questo non aiuta: siamo abituati quasi a vivere nell’inerzia, nel torpore del sole che ci culla con la pancia piena di “carboidrati fritti”, siamo maestri nel rimandare, nel dire che non è compito nostro, a ripetere “dopo” o “più tardi”, o a guardare altrove convinti che lassù tutto sia più bello, più facile, migliore. Spesso dimentichiamo che quello che siamo non possiamo lasciarlo a casa dei nostri genitori, inevitabilmente viene con noi, anche se non lo volevamo mettere in valigia.

“Hai mai pensato di non riuscire a lasciare un segno?”, chiede a un certo punto a sua madre. Io me lo sono chiesta un sacco di volte, ma pensandoci mi sono pure domandata a che cosa serve questo segno se poi non mi sono goduta ogni istante che mi è stato concesso?

Il tempo che Samuele trascorrerà a casa sarà delizioso e infernale allo stesso tempo. Ci saranno mangiate, incontri furtivi di notte, occhiatacce e sceneggiate in piazza, sagre, una famiglia con cui fare i conti, da cui è facilissimo prendere (e pretendere), e molto difficile ricambiare. Una tipica famiglia del Sud, forse un po’ troppo stereotipata, con le passate di pomodoro, le conserve, i pranzi chiassosi, le vedove, i battibecchi, i silenzi, le porte chiuse, i pregiudizi, il conforto.

« Mamma, secondo te qui c’è il wifi?» chiedo.
«Che è?»
«Internet. Funziona con quell’aggeggio quadratoche lo spara nell’aria per trasmetterlo ai telefoni o ai computer. Come quello che usa Santina alla ferramenta per avere internet e fare ordini.»
«Siamo a casa di zia Cherubina, Samue’. Qui ci stanno i crocifissi.»

Dirsi addio questa volta sarà molto più dura, perché Samuele avrà imparato ad amarli. Lasciare andare alcune persone sarà difficile ma sarà anche l’unico modo per ritrovarsi. Senza dolore non c’è vita, senza amore non c’è vita. Voglio chiudere con una frase di Pietro, un amico psicologo che Samuele chiama quando ha bisogno di aiuto e che credo dovremmo ripeterci ogni giorno:

Lascia che le cose accadano, Samuele. Non prevederle. Non prevenirle. Lasciale fare. Stabilisci dopo se vanno bene oppure no. In definitiva, smettila di chiederti perché sei al mondo. Approfitta del fatto che ci sei.

E poi, mentre ne approfittate, andate a comprare il libro di Pierpaolo.

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