“La pelle dell’orso” di Joy Sorman: unico!

Ha una potenza narrativa a dir poco singolare “La pelle dell’orso” di Joy Sorman (AlterEgo Edizioni), così come il punto di vista adottato, capace di stravolgere i sensi.

TRAMA – Il narratore, un mostruoso ibrido nato dall’accoppiamento di una donna con un orso, racconta la propria vita, un’esistenza itinerante e infelice. Perduti gradualmente tutti i tratti umani per assumere l’aspetto di una bestia, intraprende una tournée con un addestratore di orsi, viene costretto a esibire i suoi talenti e a combattere con altri animali. Trascinato poi dall’altra parte dell’oceano, si unisce al serraglio di un circo, dove avrà modo di relazionarsi con saltimbanchi, fenomeni da baraccone, mostri e donne meravigliose da cui gli uomini lo hanno sempre tenuto lontano. Sarà proprio l’incontro con una donna, nella fossa di uno zoo, che gli permetterà di scoprire la sua vera natura.

Al circo, sono le bestie, molto più degli uomini, che si vengono a contemplare. A meno che gli uomini non siano bestie. 

È un lungo racconto, “La pelle dell’orso” di Joy Sorman, in cui questo ibrido, metà uomo e metà orso, racconta le tappe della sua esistenza, aprendosi a emozioni sempre nuove e diverse, che finiscono per essere tanto umano quanto bestiali.

“Stamattina non mi hanno dato da mangiare, probabilmente per eccitare la mia ferocia, questa ferocia che ho abbandonato come una vecchia pelle, talvolta simulata per esigenze di mestiere, una ferocia di cui non permane che l’espressione attenuata, degenerata, un poco di fiele. Spenta ogni minima traccia di ferocia mi resta la forza, potenza svuotata di crudeltà, ormai priva dell’istinto di morte, la forza per lo spettacolo, questa forza che grava su di me”.

La riflessione dell’orso si allarga, oltre le proprie sensazioni, per accogliere o tentare di comprendere quelle degli altri, che in questo caso sono gli essere umani. “Gli uomini non ci lasceranno mai in pace, non pensano ad altro che a spostarci, a comprarci e a venderci, caricarci e scaricarci. Ma loro da cosa fuggono?”.

E poi ancora: “Col tempo ho compreso che gli uomini si rivedevano in me. Gli uomini cercano la loro bestia, esitano tra il dolce e il violento, la sottomissione e l’indomabile, il saggio e il crudele. Ma solo la ferocia finisce per magnetizzarli”.

Questo orso, “uomo invisibile e bestia incerta”, attraversa spazio e tempo sentendosi sempre fuori posto, tranne una volta (“siamo tutti scarti della natura, nati da una burrasca”), ed è con le donne che riesce a trovare un vero legame, un dialogo fatto di silenzi, che sarà poi il culmine della narrazione, accompagnando il lettore nelle pagine finali.

Mi è piaciuta molto la forza narrativa dell’autrice, la quale dimostra di avere grande padronanza dell’uso delle parole e della costruzione di immagini per dare ancora più vividezza a un’emozione.

In un passaggio de “La pelle dell’orso“, alcuni dei visitatori dello zoo in cui finisce l’animale vorrebbero “isolare una delle mie sensazioni nel palmo della loro mano o sulla loro lingua per immaginare a cosa somiglia il mondo vissuto dagli altri”. Mi ha colpita molto questa frase, il tentativo da parte degli uomini di capire il sentire dell’altro, altro che in questo caso è un animale rinchiuso: come può mai essere se stesso, in quella condizione?

E allora, mi sono domandata: quale versione “dell’altro” ci sforziamo di comprendere? Quella che ci fa meno paura perché non si può avvicinare più di tanto?

La pelle dell’orso” di certo non è un romanzo facile, ma è senza dubbio scorrevole e ben scritto, e inoltre offre tantissimi spunti di riflessione per chi ha voglia davvero di sentire.

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