Intervista a Susan Stokes-Chapman, autrice di “Pandora” (Neri Pozza)

Arriva da domani, 27 gennaio, in tutte le librerie e negli store online, “Pandora” di Susan Stokes-Chapman (Neri Pozza).

Ambientato nella Londra georgiana, “Pandora” è un avvincente mystery in cui si intrecciano inganni, segreti e speranze, il tutto condito da una scrittura che vi farà immergere completamente nella storia e nel periodo narrato.

Grazie a Neri Pozza, ho avuto l’occasione di leggere il romanzo in anteprima e di porre alcune domande direttamente all’autrice. Ecco la nostra chiacchierata.

La Londra dell’età georgiana è raccontata in modo incredibilmente vivido e su più livelli. Partirei dal linguaggio scelto. Non è un mero esercizio di stile, non è né desueto, né forbito, ma qua e là si scorge una raffinatezza nell’uso e nella ricerca delle parole – per la traduzione dall’inglese dobbiamo ringraziare e complimentarci con Massimo Ortelio – che serve per farci immergere totalmente nel periodo raccontato. Che tipo di lavoro c’è stato per raggiungere un tale equilibrio?

Come scrittrice di narrativa storica utilizzo molte fonti autentiche come parte delle mie ricerche, dalle lettere alle poesie e ai romanzi scritti durante il periodo che ho scelto come ambientazione. Nel diciottesimo secolo c’era una formalità linguistica che oggi, semplicemente, non esiste più: la parola “okay”, ad esempio, non sarebbe mai apparsa in un ambiente georgiano; allo stesso modo, una contrazione come “I can’t” non sarebbe mai stata usata nel parlato, preferendogli una variante più estesa, come “I cannot”. Tuttavia, usare esclusivamente questo stile avrebbe alienato il lettore: il romanzo avrebbe cominciato ad arrancare e, in generale, a diventare molto noioso da leggere. Ho deciso di utilizzare le varianti più lunghe di parole e frasi nella narrazione per garantire un’atmosfera autentica, ma nel dialogo ho dato ai personaggi una voce dal suono più naturale, che conservava ancora la formalità dell’epoca ma che allo stesso tempo poteva essere facilmente approcciata da un moderno lettore. Spesso controllavo l’origine di un termine in un eccellente dizionario di etimologia online, nel caso suonasse troppo contemporaneo. Nel complesso, penso che l’equilibrio abbia funzionato!

Un altro aspetto del romanzo che mi ha colpita molto riguarda la descrizione degli ambienti e dei luoghi. Ci si muove per opposti, tra lo sfarzo e il sudiciume. In questa narrazione per contrasti, molto spazio è lasciato alla vista, ovviamente, ma un altro senso entra in modo preponderante nella narrazione: l’olfatto. Gli odori diventano anche tratto caratteristico di certi personaggi, quindi Le volevo chiedere se dietro ci fosse una precisa scelta. Come mai ha deciso di dedicare molta attenzione a questo senso?

Un romanzo deve essere in grado di immergere completamente il lettore nel mondo in cui si svolge la narrazione. I cinque sensi – tatto, vista, udito, gusto e, in ovviamente, olfatto – devono essere pensati come l’esperienza di lettura, senza i quali semplicemente non sarebbe autentica; se perdi uno dei sensi, allora non riuscirai a “sentire” bene mentre leggi. Nei drammi in costume televisivi la vista e il suono sono usati con effetti in modo piuttosto ovvio, ma gusto, tatto e olfatto sono i tre elementi mancanti. Un romanzo può, in qualche modo, compensare a questa mancanza. Si tratta di usare l’immaginazione più spesso, come quando immagini una scena e ti chiedi cose del tipo “che odore avrebbe un molo malsano pieno di sporcizia? O un negozio di antiquariato polveroso?”, e, di conseguenza, come reagirebbe un personaggio in quell’ambiente? Si tratta di riconoscere la differenza e usare il buon senso. Alla fine, la narrativa storica è incentrata sull’esperienza immersiva.

Nel mito, Zeus crea la donna con l’astuzia “che secondo molti è causa della caduta dell’uomo”. Per vendetta nasce Pandora, alla quale viene consegnato un vaso dicendole di non aprirlo (come non pensare a una mela che non deve essere mangiata?). Anche nel mito, la donna cede: per curiosità? Per mancanza di forza di volontà? Perché è funzionale alla morale? Potremmo, oggi più che mai, chiederci perché la donna è stata descritta come “debole”, ma forse è meglio rispondere con storie come la sua, in cui Dora è tutt’altro che una ragazza fragile. All’inizio si insiste anche sulla differenza di statura tra lei ed Edward, che lo vede costretto a rivolgere la testa verso l’alto per guardarla, “accrescendo il senso di soggezione che prova d’istinto nei suoi confronti”: l’ho trovato un’espediente davvero interessante per raccontare una complessità molto più profonda. Come nasce un personaggio come Dora? Qual è l’esigenza che preme per raccontare di una donna come lei?

Quando si è trattato di creare Dora, volevo un’eroina che potesse essere immediatamente affascinante, che potesse suscitare empatia, ma che fosse anche un personaggio forte. Ho cercato di pensare a come una giovane donna, nella situazione di Dora, avrebbe potuto comportarsi nell’era georgiana senza conformarsi a ciò che la società si sarebbe aspettata da lei. Per me era anche importante che non si affidasse esclusivamente a un uomo per realizzarsi. Ovviamente dipende dalle scelte di Hezekiah e dall’intelletto di Edward, Dora li usa entrambi per promuovere la propria causa, ma lo fa senza sacrificare l’innocenza che ci si aspetterebbe da una donna del diciottesimo secolo. Alla fine, però, volevo che Dora fosse un personaggio con cui un lettore moderno avrebbe potuto identificarsi; una ragazza con una voce, che era intelligente, creativa, che conosceva le proprie capacità e che sarebbe diventata lei stessa “l’eroe” del proprio destino, l’artefice. E questo era, in parte, il punto: volevo anche dare potere alla mitica Pandora attraverso la mia versione di lei.

Il mito del vaso di Pandora ha costantemente affascinato i lettori nel corso dei secoli, e io stessa non ne sono rimasta immune. Qualcosa, nella storia di una donna curiosa che desiderava la conoscenza sopra ogni cosa, ha suscitato in me il desiderio di esplorarla ulteriormente. I miti greci non smetteranno mai di ammaliare, ma per così tanto tempo sono stati incentrati sugli uomini: le donne erano presenti solo come personaggi secondari e spesso erano poste nel ruolo di vittima o di antagonista. Come, appunto, nel caso di Pandora e del suo leggendario cofanetto. Ma qual era la sua storia, dov’era la sua voce? La sua storia chiedeva di essere raccontata. Tuttavia, non volevo scrivere una rivisitazione diretta del mito. Volevo, invece, esplorare il concetto di autodeterminazione declinato al femminile, le complessità della natura umana e come modella i nostri destini, il tutto attraverso la ricchezza di una lente georgiana, usando il mito come un’ancora.

Ho adorato, la “forma” dell’epilogo. L’ho trovata molto originale. Ma quando si trascorrono ore molto piacevoli in compagnia di certi personaggi una domanda è d’obbligo: c’è la possibilità che incontreremo di nuovo Dora ed Edward? O magari Cornelius Ashmole?

L’epilogo è stato un omaggio all’era georgiana e alla Società degli Antiquari. Per la forma della lettera del Direttore della Società degli Antiquari ho preso a modello quelle originali dell’epoca. Credo che l’epilogo in due parti, il biglietto da visita e la lettera, abbia aiutato a risolvere certe questioni rimaste in sospeso e a rispondere ad alcune domande che i lettori avrebbero potuto porsi a fine lettura. Inoltre… adoro Cornelius. In realtà è di gran lunga il mio personaggio preferito! Anche se per il momento non ci sono piani, mi piacerebbe rivedere Cornelius in futuro, ed Edward e Dora potrebbero benissimo unirsi per il viaggio. Vedremo!

Nel romanzo si lascia largo spazio al valore degli oggetti, sia dal punto di vista economico che affettivo. Sappiamo bene che spesso i due aspetti non combaciano, anzi. Per concludere la nostra chiacchierata, Le va di raccontarci qual è l’oggetto dal quale non si separerebbe mai?

Come ormai avrai capito, adoro l’era georgiana. Per aiutarmi a ispirarmi mentre scrivo, ho molte stampe storiche incorniciate sul muro sopra la mia scrivania, dai paesaggi urbani ai singoli edifici, alle scene di campagna. Tuttavia, una delle mie stampe preferite è una rappresentazione della morte di Nelson nella battaglia di Trafalgar di Daniel Maclise, che appartiene alla mia famiglia da generazioni. È un oggetto veramente bello, e potrebbe valere un bel po’, ma nulla potrebbe mai spingermi a venderlo. La connessione emotiva che ho con questo oggetto è troppo forte: era nella casa in cui sono cresciuta e ricordo di esserne rimasto affascinata sin da bambina. Alcuni oggetti semplicemente ti attraggono e non ti lasciano più andare.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *