“Platone” di Annalisa Ambrosio: ecco quale dolore ha davvero cambiato il mondo

“Platone” di Annalisa Ambrosio (Bompiani) è un libro straordinario. Per leggerlo non bisogna avere necessariamente delle basi di filosofia, conoscere a menadito il pensiero di Platone o qualsiasi altra cosa stiate pensando, sostenendo che non è un libro che fa per voi.

Annalisa Ambrosio racconta, con grande umanità e sensibilità, “semplicemente” la storia di un uomo e del suo dolore. Un dolore che ha saputo nutrire e coltivare, per tramandare una pagina della Storia, cambiando il mondo. Per sempre.

TRAMA – Aristocle nasce dall’unione di due delle più antiche famiglie di Atene. Cresce ascoltando storie, miti e musica. Possiede più di cento oggetti, che in un mondo vuoto, contrapposto al troppo pieno del nostro, sono moltissimi. Dicono di lui che da bambino era così beneducato che nessuno gli aveva mai visto i denti, perché sorrideva poco e rideva meno. Il primo vero dolore lo prova a ventotto anni, il giorno della morte di Socrate. La filosofia è già nata, ma Socrate non è un filosofo: gira scalzo, seguito da una schiera di ragazzini incuriositi dai suoi discorsi; è capace di cambiare per sempre quelli che lo ascoltano. Aristocle è uno di loro. Parte e procede così, cercando di avvicinare le vite lontane dei grandi alle nostre piccole vite vicine, questa breve storia di Platone, scritta da un’autrice molto giovane a uso dei giovani come lei ma anche di chi Platone l’ha incontrato a scuola e poi dimenticato. Oggi che il rischio non è morire per un’idea ma la mancanza di idee in cui credere, guardarsi indietro è fondamentale.

Penso che nei dialoghi e in tutti i suoi scritti Platone abbia messo il cuore e ogni cosa veramente importante che aveva da dire. Eppure non era lo stesso che passare un buon pomeriggio con Socrate. 

Non sapete quante volte nella mia vita io abbia pensato a come sarebbe stato passeggiare con Socrate in quella “bottega a cielo aperto” che era Atene. Non so perché questo personaggio della storia della filosofia mi abbia così profondamente colpita durante gli anni di studio della filosofia, non so perché io soffra ancora per lui.

Il mio non è lo stesso dolore di Platone, è ovvio, ma credetemi se vi dico che leggendo il libro di Annalisa Ambrosio ho pianto.

Provate a immaginare un dolore totale, devastante. Alla morte di Socrate, avvenuta come tutti sappiamo dopo una condanna inflitta alla fine di un processo farsa (“Socrate è un libero pensatore sotto una dittatura, quindi è il nemico pubblico perfetto”), Platone perde il suo maestro, il suo mentore, il suo unico amico, il suo amante, l’unica persona che riusciva a dare un senso alle sue giornate. L’unica persona che lo capiva.

L’unica persona che non lo faceva sentire solo.

Come si sopravvive a una perdita così? Come si riesce se quella persona, per di più, non ha lasciato nulla?

Platone ha saputo trasformare il suo dolore in forza. Ecco perché la sua è “una storia di dolore che cambia il mondo”.

Il giorno dopo la morte di Socrate, decide che lo terrà in vita scrivendo, ne farà il suo personaggio, racconterà il maestro e le sue idee riportandone le parole esatte, prestandogli la voce. Da lì in avanti non smetterà un attimo di scrivere. Per continuare a stare con lui. 

Lo fa per curarsi di quel dolore, ma soprattutto per tenere in vita Socrate. Nei dialoghi c’è, ancora oggi, “un Socrate vivo e vegeto che continua a tormentare tutti con le sue domande”.

Socrate è un critico inflessibile del pressapochismo, ti costringe a riflettere su ogni cosa che dici. Se poi la dici con una certa dose di supponenza, allora sei fritto. Socrate non aspetta altro che smontare pezzo a pezzo le tue argomentazioni. Non hai più mezza certezza. 

Dopo la morte del suo maestro, Platone va in esilio. Passerà undici anni (undici! Riuscite a immaginarlo?) a viaggiare e a scrivere, intuendo che “le parole disposte una dopo l’altra possono fare grandi cose, possono cambiare il mondo o almeno il destino di chi si è messo a dargli una forma”.

Platone userà le storie per fare filosofia, per fare riflettere e ragionare i suoi lettori, per rendere la verità accessibile a tutti. Per riaccreditare Socrate, per lasciarne memoria. Per “difendersi dalla solitudine moltiplicando la sua voca per quella di Socrate”. Per non sentirti solo.

La forza di questo libro sta, secondo me, nello stile dell’autrice. Quando si parla di filosofia si associa sempre a qualcosa di “alto”, a cui non ci si può avvicinare, mentre Annalisa Ambrosio ci racconta la storia di Platone in modo diretto, con esempi della vita di tutti i giorni (alcuni parallelismi mi hanno anche fatto sorridere), con intelligente ironia, con quella praticità che rende meno ostica la teoria.

Come si fa a guardarsi dentro?
Parlando. Socrate fa parlare le persone che incontra. Ed è proprio per questo che Platone sbobina una a una le conversazioni di Socrate con gli ateniesi.

Annalisa Ambrosio chiude questo suo libro davvero meraviglioso con il capitolo “Testamento”:

Se anche non fosse autentico, raccontiamoci che lo è perché lì dentro, a un certo punto, c’è una frase bellissima. Potrei andare a rileggerla ma preferisco scriverla così come la ricordo, perché è così che non la dimenticherò mai:

Mi chiamo Platone e non devo niente a nessuno

E, invece, ci ha dato moltissimo.

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