“Fiori sopra l’inferno” di Ilaria Tuti: un esordio che merita attenzione

Una scrittrice da tenere d’occhio è Ilaria Tuti, che è in libreria da qualche giorno con “Fiori sopra l’inferno” (Longanesi). Un esordio che non ha nulla da invidiare ai veterani del genere, da sempre appannaggio più degli uomini che del “gentile sesso”. Sono davvero felice di aver letto un bel thriller di una donna, per giunta italiana. Come dico sempre: i nostri talenti vanno sostenuti!

TRAMA – Tra i boschi e le pareti rocciose a strapiombo, giù nell’orrido che conduce al torrente, tra le pozze d’acqua smeraldo che profuma di ghiaccio, qualcosa si nasconde. Me lo dicono le tracce di sangue, me lo dice l’esperienza: è successo, ma potrebbe risuccedere. Questo è solo l’inizio. Qualcosa di sconvolgente è accaduto, tra queste montagne. Qualcosa che richiede tutta la mia abilità investigativa. Sono un commissario di polizia specializzato in profiling e ogni giorno cammino sopra l’inferno. Non è la pistola, non è la divisa: è la mia mente la vera arma. Ma proprio lei mi sta tradendo. Non il corpo acciaccato dall’età che avanza, non il mio cuore tormentato. La mia lucidità è a rischio, e questo significa che lo è anche l’indagine. Mi chiamo Teresa Battaglia, ho un segreto che non oso confessare nemmeno a me stessa, e per la prima volta nella vita ho paura.

Più che parlarvi della trama di “Fiori sopra l’inferno“, mi vorrei concentrare sui personaggi di questo romanzo.

Mi è piaciuto il modo in cui la Tuti, via via nel libro, tratteggia la sua protagonista, il commissario Teresa Battaglia. Ho trovato incredibili le pagine in cui parla della solitudine e del dolore come presenze reali nella vita della donna, costretta adesso ad affrontare un nuovo dramma che la spinge ad avere compassione di sé, a modificare le sue abitudini, a tratteggiare le giornate in modo diverso per non perdersi.

Una donna dall’acume sorprendente, affinato in decenni di attività sul campo, attenta osservatrice, capo branco ma anche mamma chioccia. So che potrebbe sembrare una contraddizione, ma penso che Teresa lo sia. Forte e fragile, tenace e disorientata, sicura e confusa. “Un tormento, ma anche una spinta portentosa”, come la definisce Massimo, il nuovo arrivato (di cui parlerò dopo!).

Molto interessanti sono le sue riflessioni sulla natura umana, specie sul lato oscuro che ognuno di noi si porta dentro, chi sopito, represso e chi invece manifesto, al pari di un qualsiasi altro tratto del carattere, sebbene con conseguenze in alcuni casi estreme.

«Innocui» ripetè, rimestando le sillabe sulla lingua come avessero un sapore cattivo. «La natura non ha dotato nessuno dei suoi figli di innocuità, capo Knauss, o avrebbe fallito»

In tutto il romanzo, la malvagità viene umanizzata: il commissario Battaglia, specie nei dialoghi con il “novellino”, l’ispettore Marini, ne traccia una chiara fisionomia, la delinea per comprenderla meglio, quasi creando una sorta di empatia con il carnefice.

«Forse loro vedono il mondo meglio di noi. Vedono l’inferno che abbiamo sotto i piedi, mentre noi contempliamo i fiori che crescono sul terreno. Il loro passato li ha privati di un filtro che a noi invece è stato concesso. Questo non vuol dire che abbiano ragione a uccidere, o che io li giustifichi»
«E allora che cosa significa?»
«Che in un lontano passato hanno sofferto e quella sofferenza li ha trasformati in ciò che sono. Io questo non lo posso dimenticare»

L’ispettore Massimo Marini è l’esatto opposto di Teresa. Giovane, inesperto, ma con fame di sapere. Saranno i suoi studi serrati in biblioteca a fargli accendere la famosa lampadina e a dare una svolta risolutiva al caso. Un espediente forse un pochino forzato, se devo essere sincera, ma di cui ci si dimentica facilmente andando avanti nella caccia al “mostro”.

Ma si può davvero definire così? L’umanità che viene conferita al male, così come il profilo dell’assassino sarà quello che, in certi momenti, farà vacillare il lettore. Si può rimproverare il lupo perché uccide la preda? Si può condannare qualcuno che non è cosciente di quello che sta compiendo? Chi ha solo bisogno di amore?

Eppure, la comunità montana di Travenì deve fare i conti con delle morti atroci, con delle mutilazioni, con il rapimento di un bambino e non sarà facile affidarsi a Teresa per catturare il colpevole. La comunità di questo piccolo paese, infatti, si muove compatta come un unico personaggio: diffidente verso l’esterno, chiusa, un “nucleo antico e inviolabile, forgiato da secoli di isolamento”, dal quale Teresa capisce presto cosa può o non può aspettarsi. Ma soprattutto, una comunità cieca verso le proprie colpe, che non muoverà un dito per riscattarsi.

E poi ci sono loro, i bambini. Quelli di oggi, stretti in un patto di sangue, e quelli di ieri, vittime innocenti. Un filo sottile li unisce, quella mancanza di cure, di attenzioni, di amore. Spesso nei thriller si fa uso dei più piccoli, e la Tuti è stata molto brava a inserire degli elementi di novità nel suo “Fiori sopra l’inferno”, costruendo una trama, anche su più livelli temporali, che lascerà sgomenti, provocherà orrore, scuoterà il lettore riempiendolo di domande.

Un thriller che ha una protagonista unica, che mi auguro di ritrovare presto (la nota dell’autrice mi ha illusa in questo senso, spero di non sbagliarmi!), con una storia che non lascia nulla al caso, che sorprende ed emoziona (sì, io come Marini, nella scena finale mi sono commossa!) con un’ambientazione che non fa solo da sfondo, ma spinge per essere inserita tra i protagonisti.

Tre parole: da non perdere.

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