“Amare una volta” di Davide Mosca: un viaggio indimenticabile

Amare una volta” di Davide Mosca (Salani) è uno di quei libri che sai che ti farà male al cuore. Lo intuisci sin dal principio, lo capisci con certezza nemmeno arrivati a metà lettura. Eppure prosegui, perché devi sapere come e quanto ti farai male.

TRAMA – Nell’Alta Langa erano potenti e temuti, i Costamagna. Quando passava uno di loro, la gente mormorava e si toglieva il cappello. Poi è arrivata la guerra, che ha portato via troppi uomini e stravolto ogni equilibrio. Adesso i padroni di un tempo devono vendere le loro terre per far quadrare i conti, e rompersi la schiena in quelle rimaste. Virginia, coi suoi diciannove anni e la sua sfacciata vitalità, è la più giovane della famiglia, l’ultima dei Costamagna, e non ha alcuna paura di faticare per costruirsi un futuro diverso. Un giorno, tra i campi spunta uno sconosciuto. È un ex partigiano e ha percorso mille chilometri a piedi, dice, dal nord della Francia, soltanto per restituire un medaglione d’oro ai genitori del compagno d’armi che gliel’ha affidato in punto di morte. Avrebbe potuto venderlo e con quei soldi imbarcarsi per l’America, dimenticare l’orrore, ma ha preferito onorare quel debito morale. Accolto dalla Duchessa, l’anziana donna che tiranneggia sui destini e sugli affari sempre più incerti dei Costamagna, il ragazzo viene messo alla porta: vadano a quel paese lui, il medaglione e anche la memoria di quel nipote traditore che ha combattuto al fianco dei ‘rossi’. E così se ne va con la coda tra le gambe, ma qualche sera più tardi ricompare in una cascina vicina, con una chitarra in mano e una voglia di suonare che fanno eco alla splendida irrequietezza di Virginia. 

“Stai al tuo posto”
“E se non lo sapessi, qual è il mio posto?”
“E tu stacci lo stesso”

Se dovessi cercare un solo aggettivo per descrivere la scrittura di Davide Mosca, direi “piena”. Piena perché ogni parola è come se ne contenesse altre dieci, ogni descrizione è tratteggiata con pennellate decise e colme, la sua protagonista è così piena di luce e di vita che si fa fatica a non socchiudere gli occhi quando la si incontra.

Eppure, nonostante la bellezza delle parole usate, e le loro combinazioni, “Amare una volta” è un libro fatto di silenzi.

Virginia, detta Ginia, con la madre non ha bisogno di dire le cose, con lei “esistevano pur senza nominarle”. Sul loro rapporto ci sarebbe da scrivere tantissimo, ma mi limito a riportarvi uno dei passaggi che più ho amato:

“Entrambe piangevamo in silenzio, senza nemmeno sapere il perché, se per la gioia della condivisione, la coscienza del pericolo, o per quell’oscuro senso di colpa per cui la felicità era sempre qualcosa di sconveniente, carpito, estraneo, un dono che toccava per diritto agli altri, agli uomini soprattutto, e a cui avremmo dovuto fare al massimo da guardiane”.

Con suo fratello Cesare corre, salta, scruta. Quelle che rivolge alla Duchessa sono parole piene di fiele, quelle che scambia con suo padre sono piccole, scarne e prive di tono. Con la sua migliore amica si intrecciano promesse, che diventano intenti.

Ma il silenzio è anche quello dei morti, quelli “che non muoiono mai”.

Virginia è una ragazza che afferra la vita un passo alla volta, che balla, che scruta, osserva, che non capisce la gente che si arrende, che diventa collina, mulo da soma, uccello, rivolo d’acqua. Nella sua vita le parole non hanno poi così tanta importanza.

“Alla campagna non avevo mai dovuto spiegare niente, mi capiva senza doverle giustificare alcunché”.

Iniziano ad assumere un senso del tutto nuovo quando qualcuno canterà per lei. Uno straniero, un forestiero che le reciterà versi di poesie, che le spiegherà il significato di parole che non conosce, che le racconterà storie lontane per capire il presente.

Italo le mostrerà il linguaggio di un amore diverso da quello che finora aveva conosciuto. Un amore che diventa ciarliero anche nei momenti improbabili, che si fa rumore quando bisogna nascondersi.

Virginia impara, divisa tra chi era e chi potrebbe diventare. I suo passi sanno dove andare, ma, forse per la prima volta, non sanno come raggiungere quel futuro che sembra così meraviglioso eppure così improbabile.

Sceglie di crederci, Virginia, anche se il lettore un po’ meno. Si affida alle parole, Ginia, lei che non ha continuato gli studi, mentre il lettore vorrebbe solo altre pagine piene.

Perché “Amare una volta” finisce, ma volendo è proprio da lì che potrebbe ricominciare. Si fa fatica a lasciare Virginia, si fa fatica a trovare le parole per descrivere lei e quelle che ha scelto Davide Mosca per raccontarcela.

L’invito allora è quello di leggere il romanzo per scoprire tutta la meraviglia che contiene, per lasciarsi andare e per percorrere un viaggio indimenticabile.

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