“Due donne alla Casa Bianca” di Amy Bloom: una delusione

Avevo alte aspettative prima delle lettura di “Due donne alla Casa Bianca” di Amy Bloom (Fazi), sia per il tema scelto dell’autrice sia per come era stato accolto dalla critica estera. Ma per me è stata solo una delusione.

TRAMA – Corre l’anno 1945 e la radio americana annuncia che la vittoria è imminente. Franklin Delano Roosevelt, venuto a mancare da pochi giorni, non ha vissuto abbastanza per vederla con i suoi occhi. In un appartamento di New York suona il campanello: è una donna, gli occhi bordati di rosso e l’aria di chi non ha mai sorriso in vita sua; un cappotto nero troppo grande, le calze in filo di Scozia allentate. È Eleanor Roosevelt, la First Lady. Ha appena perso il marito e si rifugia nell’appartamento del suo vero amore, la giornalista Lorena Hickok. Da qui inizia il racconto della relazione amorosa fra le due donne, una relazione trentennale cominciata all’epoca in cui Lorena viene incaricata di seguire la campagna elettorale di Roosevelt e si insedia così alla Casa Bianca. Molto diverse per provenienza e inizialmente diffidenti l’una verso l’altra, le due donne si scoprono col tempo anime gemelle. Il loro amore è un segreto in realtà noto a tutti, del quale in queste pagine viene messa in scena la dimensione più intima e privata: «Dicevamo sempre: non siamo due bellezze, perché era impossibile dire la verità. A letto invece eravamo due bellezze. Eravamo dee. Le ragazzine che non eravamo mai state: amate, impertinenti, felici e deliziose». Sullo sfondo di questa grande storia d’amore, i fasti della vita presidenziale, le cene con i personaggi di spicco dell’epoca e le grandi contraddizioni di Roosevelt, uomo affascinante e fine stratega, ma nel privato spesso freddo e a tratti crudele. Con grande delicatezza Amy Bloom ci racconta la difficile e intensa storia d’amore fra Eleanor Roosevelt e l’amica giornalista Lorena Hickok sullo sfondo degli anni della presidenza Roosevelt: un complesso intreccio domestico all’interno della cornice di un’epoca che non smette di affascinare.

Prima di iniziare la lettura di “Due donne alla Casa Bianca” mi ero chiesta: “Chissà quale sarà il punto di vista scelto dall’autrice e cosa ha scelto di raccontare di questa storia”.

Insomma, ero piuttosto curiosa. Lo si è sempre prima di approcciarsi a un nuovo romanzo (non lo avremmo scelto, altrimenti!), ma probabilmente questa curiosità aumenta quando sappiamo che leggeremo di personaggi realmente esistiti – come in questo caso – sebbene si tratti pur sempre di un’opera di fantasia. 

Amy Bloom ha scelto di partire dalla fine, da una Eleanor Roosevelt distrutta dal dolore per la perdita del marito che chiama Lorena Hickok per aiutarla: “Se non mi tieni forte, morirò”, le dice. 

A raccontarci la storia è proprio Lorena, nel romanzo sarà Hick, che inizia sin da subito con continui salti temporali, senza quasi mai fornire al lettore un appiglio. Io, il più delle volte, mi sono smarrita.

A mio avviso, è proprio questo che ha reso il romanzo pesante e di difficile lettura: Lorena procede random, dando per scontato che chi legge conosca fatti e nomi; quando narra un episodio non si sa mai in che anno siamo o a che punto della storia tra le due amanti ci troviamo, se stanno insieme o se si sono già separate.

Ogni tanto ci dice quanti anni ha però questa informazione non aiuta perché non si riesce a contestualizzare; così come solo verso la fine viene esplicitato quanti anni sono rimaste insieme come amanti, ma molte cose rimangono vaghe (ad esempio: quante volte si siano separate? e quante Lorena torna a stare alla Casa Bianca?).

Come se non bastasse, si parla tanto (troppo) di fatti a corredo e poco di questa storia d’amore. Sono presenti solo dei brevi paragrafi all’interno di alcuni capitoli, narrati con estrema lucidità, a volte con rabbia, altre con infinito amore, che aprono uno spiraglio sulla storia tra Eleanor e Lorena ma che subito dopo, purtroppo, viene richiuso. Davvero un peccato perché è proprio in quei momenti che si scorge come sarebbe potuto essere “Due donne alla Casa Bianca” e invece non è stato. 

Partendo dalle lettere di condoglianze che riempono le stanza, Amy Bloom decide di parlarci di ciò che ruota attorno a queste due figure, del declino della segretaria/amante del presidente Roosevelt; del cugino di Eleanor (a più riprese, manco fosse uno dei protagonisti della storia); dell’infanzia di Lorena (a lungo) e delle sue varie amanti; dei figli della First Lady e del suo senso materno che le fa compiere scelte sbagliate fino alla fine. 

Per il resto, troviamo spezzoni di vita quasi buttati a caso, scene “ricordate” più che “narrate”, episodi difficili da collocare, e tanto superfluo che, molto onestamente, tende anche ad annoiare.

Insomma, un libro del tutto diverso da quello che avrei voluto leggere. Una storia che aveva un enorme potenziale e che secondo me è stata svilita da scelte narrative poco azzeccate, più che dallo stile dell’autrice. Davvero un peccato. 

 

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