“Aria di neve” di Serena Venditto: mi aspettavo qualcosa di più…

Lo ammetto subito: mi aspettavo qualcosa di più da “Aria di neve” di Serena Venditto (Mondadori). Una lettura piacevole, ma che non mi ha colpita particolarmente. Dopo la trama, vi spiego perché.

TRAMA – Ariel è una ragazza italo-americana che ha girato mezzo mondo e ora vive nell’adorata Napoli. Lavora come traduttrice di romanzi rosa dai titoli immancabilmente profumati di agrumi e, dopo quattro anni di fidanzamento e due di convivenza, è appena stata lasciata da Andrea, l’uomo perfetto, ispettore di polizia e compagno dolce e premuroso. In lei si aggrovigliano sconforto, delusione, rabbia, ma soprattutto la fastidiosa sensazione di vivere in una di quelle storie melense e scontate che le consentono di pagare l’affitto. È necessaria una svolta, qualcosa di tanto imprevisto quanto atteso. E così, facendosi coraggio, Ariel si mette alla ricerca di un luogo dove ricominciare da zero. Presto si imbatte nel coloratissimo e disordinato appartamento di via Atri, dove vivono altri tre ragazzi: Malù, sagace archeologa con una passione per i romanzi gialli, Samuel, rappresentante di articoli per gelaterie di origini sardo-nigeriane, e Kobe, talentuoso quanto sgrammaticato pianista giapponese. Un terzetto strambo e caotico cui si aggiunge la presenza fissa di Mycroft, uno stupendo gatto nero dagli occhi verdi che, coi suoi eloquenti miagolii, non ha bisogno della parola per farsi capire alla perfezione. Ariel si sente subito a casa, e tra una chiacchiera in cucina, un concerto e una passeggiata in una Napoli infuocata di sole, le cose per lei riprendono a girare per il verso giusto, al punto che dimenticare Andrea sembra quasi possibile. Ma proprio allora un evento tragico che si consuma molto vicino ai coinquilini rimetterà tutto in gioco e sconvolgerà il microclima di via Atri. Un suicidio vagamente sospetto o un vero e proprio delitto della camera chiusa? Le “celluline grigie” di Malù non potranno che essere stuzzicate da questa sfida e l’archeologa-detective coinvolgerà tutto il gruppo nelle indagini, cui parteciperà anche Mycroft dando sfoggio della sua sottile, felina intelligenza.

Nella lunga trama che è stata diffusa di “Aria di neve” si parla già molto del romanzo, quindi passerei direttamente alle mie impressioni. Per prima cosa, Ariel mi è sembrato un personaggio altalenante: ci sono momenti in cui ruba la scena, altri in cui sembra fare da tappezzeria. Forse per una questione caratteriale, magari per mancanza di particolare acume, ma Malù, e spesso anche il gatto Mycroft, si sono rivelati personaggi molto più interessanti.

Un’altra cosa che mi ha lasciata perplessa è il cambiamento di Ariel: mollata dal fidanzato con il quale conviveva, e che voleva sposare, in tre settimane subisce una profonda trasformazione (è Malù a dirlo, non io, e l’archeologa se ne intende, credetemi). Passi per la voglia di cambiare casa, quella la posso comprendere, ma altre cose un po’ meno, come il volgere già lo sguardo da un’altra parte. Non è per fare la bacchettona, mi è sembrato solo poco credibile per una ragazza che viene comunque descritta come una persona molto sensibile.

Ma la vera assente, del tutto ingiustificata a mio avviso, è Napoli. Ariel, in più di un’occasione, racconta di aver girato mezzo mondo ma che non vivrebbe in nessun altro posto. Le chiedono continuamente come mai e lei quasi si indispone, facendo venire fuori l’attaccamento profondo per la sua città. A un certo punto, all’ennesima domanda, lei risponde così:

“Perché amo guardare il mare in tempesta, grigio e bianco, che in una mattina di gennaio si infrange sugli scogli intorno a Castel dell’Ovo e pensare che sembra Oslo; mi piace leggere un libro su una panchina della Villa Comunale in un pomeriggio di sole, quando non si ha proprio nulla da fare; andare a vedere un film a luglio all’Arena del Parco del Poggio, con lo schermo che sembra sorgere dal laghetto artificiale, e godermi la sensazione di avere un po’ freddo; bere una birra a piazza Bellini a dicembre in maniche di camicia; e poi adoro il silenzio irreale che c’è prima della partita; mi fa impazzire spulciare nelle bancarelle a Port’Alba e andarmene via con le mani sporche di polvere, il naso che pizzica, e un paio di libri seminuovi nella borsa; e trovo che la pizza a portafoglio sia una delle grandi istituzioni del vivere civile”.

“Wow”, ho pensato. Peccato che rimanga tutto solo in quell’unico pensiero. Perché Ariel, in pratica, lavora a casa, pranza e cena con banchetti di mezzo mondo (mai una pizza) a casa, ascolta la musica a tutto volume a casa. Capisco che il libro non sia ambientato a dicembre quindi piazza Bellini è da escludere, ma non c’è nulla né del resto, né di qualche altra cosa.

L’unica cosa che sappiamo del quartiere in cui si è trasferita è che c’è un continuo via vai di motorini. A Palermo non è poi tanto diverso. L’unica volta che la accompagniamo fuori, scorgiamo appena il Maschio Angioino. Per come sono fatta io, non mi basta. Perché decidere di ambientare un romanzo in una città così bella e così ricca di suggestioni per poi non prendersene cura – per me, sottolineamo che si tratta di un parere strettamente personale – è un’occasione sprecata.

Quindi davvero peccato perché la scrittura dell’autrice si percepisce che è matura, ha la giusta dose di ironia, i giusti tempi nei dialoghi, personaggi ben caratterizzati e la parte che riguarda il giallo è trattata davvero bene. Forse un tantino prevedibile, ma l’idea che a fare da spalla sia un gatto è molto carina.

Aria di neve” è il primo di una serie con Mycroft come protagonista: chissà, magari in futuro potrò ricredermi su certi aspetti…

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