“Io qui, tu là” di Mauro Zucconi: quando l’amore è l’unica risposta

Mi ha fatto sorridere e riflettere “Io qui, tu là” di Mauro Zucconi (Fazi), un romanzo delizioso che parla di dinamiche di coppia, ma non solo. Un’attenta, scrupolosa e ironica analisi di paure quotidiane, ansie e desideri che si mescolano continuamente, rendendoci felici o tristi, facendoci ridere o piangere. Il messaggio dell’autore, secondo me, è semplice quanto importante: godiamoci ogni cosa, perché poi, a ben guardare, tutto assumerà un senso.

TRAMA – Eugenio è uno scrittore la cui prima aspirazione è sempre stata quella di essere felice. A trentacinque anni, però, si ritrova stretto in una relazione frustrante, non ha veri amici, è sempre più solo, senza speranze né prospettive. Da troppo tempo ormai vive una storia soffocante con Addolorata: i due si disprezzano, stanno male insieme, ma non riescono a prendere l’unica decisione che sarebbe opportuno prendere, quella di lasciarsi. A salvare Eugenio dallo sconforto e dall’apatia che ormai caratterizzano le sue giornate è l’incontro telematico con un’intraprendente lettrice, nonché sua ammiratrice, che grazie a uno scambio di email dapprima sporadico, poi sempre più intenso, riuscirà a strappare il protagonista alla sua cronica insoddisfazione, dandogli motivo di rinnovare la sua voglia di vivere nella ricerca della felicità. Il vero amore alla fine soppianterà quello malato, portando la storia a un lieto fine che poteva non essere così scontato.

Come si fa a non affezionarsi a un personaggio come Eugenio? Sin da subito mi sono legata a lui per una serie di affinità: abbiamo entrambi studiato filosofia, sappiamo esprimerci meglio scrivendo che parlando e abbiamo dovuto aspettare prima di poterci godere la felicità, tra paure e scarsa considerazione di sé.

È Eugenio stesso a raccontarci la sua storia, in una sorta di diario, di flusso continuo di coscienza, dove non lascia nulla al caso, tra divagazioni e resoconti. Eugenio è uno scrittore, ha 35 anni e una relazione al limite del grottesco con la sempre depressa Addolorata (mai nome fu più calzante): “Da sei anni stavo con quella macinatrice di sofferenze che era Addolorata e invece di prenderla e buttarla in un cassonetto dell’immondizia pensavo addirittura a rassegnarmi a una vita senza amore, proprio io, che pensavo l’amore fosse la cosa più importante”.

Eugenio è molto onesto con se stesso e non si fa scrupoli a darsi dell’idiota per questa relazione. Ma è anche molto lucido nel raccontarci perché non riesce a liberarsi dalla morsa di questo rapporto: “Era un misto di paura, un misto di scarsa considerazione di quelle che erano le mie reali possibilità nella vita”, ammette. Chi non ha mai avuto paura? Chi non si è mai sottovalutato? Pensando a questo, non si può fargliene una colpa.

Eugenio, con la sua spiazzante ironia, ci dimostra quanto è umano, reale, quanto è vicino a ognuno di noi, raccontandoci i suoi errori, le sue valutazioni scorrette, il suo modo di procedere per anni senza prospettive se non il tirare avanti. Ansioso, pauroso, a 35 anni “ritiene conclusa la propria vita e piange da solo in cucina invece di provare a cambiarla”. Aveva talmente tanta paura di restare da solo che era disposto ad avere intorno delle persone spregevoli come Addolorata e i suoi genitori.

“La paura era diventata l’assoluta dominatrice della mia vita”, racconta. Poi tutto cambia. Capisce che non è un tipo “solitario”, ma che è “solo”. Per fortuna, c’è Viola che da qualche anno risponde alle sue email.

Se guardiamo fino alla sera in cui ho deciso di scrivere una lettera a Viola, se guardiamo ai fatti, cioè ai risultati che in termini puramente edonistici avevo ottenuto in trentacinque anni e sei mesi, no, nessuno può venirmi a dire che ero intelligente, e se uno me lo viene a dire allora sono costretto a pensare che sia in malafede.

Sarà Viola a tirarlo fuori dal baratro in cui è finito, sarà lei a mostrargli come può e deve essere un rapporto, anche se ci vorrà del tempo, qualche episodio divertente e altri tragicomici, giornate belle e altre bruttissime. Ed è proprio tra le pieghe di queste giornate che arriva il messaggio dell’autore: quando ci asciughiamo le lacrime dobbiamo pensare al momento in cui torneremo a sorridere.

Perciò era fondamentale, per arrivare al buon umore successivo, essere di un umore disastroso, ecco perché non bisogna mai disperare quando si è infelici o arrabbiati, ma cercare di capire come si può utilizzare tutta quella svenuta.

Dovremmo sempre tenere a mente che la nostra vita scorre in un’alternanza di momenti, dovremmo imparare anche a fare tesoro di quelli brutti per capirci, per provare a ripartire, per venirne fuori con nuove consapevolezze. Eugenio ce la fa, e ci invita a fare lo stesso.

Per concludere, una piccola nota a margine. Mi è piaciuto moltissimo il modo in cui Eugenio a un certo punto parla dei suoi genitori, quasi vedendoli per la prima volta. Anche in questo caso, secondo me, dovremmo conservare nel cuore le sue parole:

Ci deve essere un momento in cui smetti di vedere i tuoi genitori come due figure senza tempo, senza età, e cominci a vederli come persone per le quali il tempo scorre come per tutti, come per tutte le cose. […] Tornare indietro, più di tutto, e concentrarmi sul fatto di apprezzare un presente che credevo infinito e che non era infinito, così come apprezzare due genitori che credevo infiniti e che non erano infiniti.

Grazie alla casa editrice Fazi ho avuto la possibilità di intervistare Mauro Zucconi: QUI troverete le sue risposte!

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