“Infanzia” di Tove Ditlevsen: che scrittura!

“Infanzia” di Tove Ditlevsen (Fazi) è un libro piccolo ma di grande potenza espressiva.

TRAMA – La piccola Tove vive con i genitori e il fratello maggiore in un quartiere operaio di Copenaghen. Il padre, uomo schivo dalle simpatie socialiste, si barcamena passando da un impiego saltuario all’altro. La madre è distante, irascibile e piena di risentimento: non è facile prevedere i suoi stati d’animo e soddisfare i suoi desideri. A scuola Tove si tiene in disparte, dentro di sé è convinta di essere incapace di stabilire veri rapporti con i coetanei; fa però amicizia con la selvaggia Ruth, una bambina del suo quartiere che la inizia ai segreti degli adulti. Eppure anche con lei Tove indossa una maschera, non si svela né all’amica né a nessun altro. La verità è che desidera soltanto scrivere poesie: le custodisce in un album gelosamente nascosto, soprattutto da quando il padre le ha detto che le donne non possono essere scrittrici. Sempre più chiara, in Tove, è la sensazione di trovarsi fuori posto: la sua capacità di osservazione, lucida, inesorabile, ma al tempo stesso sensibilissima, le fa apparire estranea l’infanzia che sta vivendo, come se fosse stata pensata per un’altra bambina. Le sta stretta, quest’infanzia, eppure comincerà a rimpiangerla nell’attimo stesso in cui se la lascerà alle spalle.

“Infanzia” è il primo volume della trilogia di Copenaghen di Tove Ditlevsen. È stata una lettura del tutto inaspettata: una scrittura tagliente, limpida, quasi cruda ma con picchi di potente lirismo, che mi ha del tutto catturata.

“Infanzia” è un romanzo di impronta autobiografica. Tove si racconta, spietata nei suoi riguardi, conciliante solo nei confronti dei suoi componimenti poetici: “Anche se i miei versi non piacciono a nessuno, non posso fare a meno di scriverli, perché leniscono il patimento e gli aneliti del cuore”.

Tove è una bambina che non sa come far combaciare le voci di chi la circonda, con l’immagine che le restituisce lo specchio, in quelle rare volte in cui cerca i suoi lineamenti in qualcosa di diverso dagli occhi della madre.

Traccia i contorni della sua infanzia, i limiti, i disagi, le aspettative, in un’altalena tra ciò che sa e ciò di cui non ha esperienza, in balia dei sentimenti dei suoi genitori e di suo fratello, incapace di vivere in modo sincero dentro la realtà.

“Il mondo concreto non mi dice un granché”, ammette Tove, la quale fa fatica a vivere in mezzo alle sue coetanee – e non solo – perché la realtà non le è mai piaciuta. Ma è costretta ad adeguarsi, quasi per passare inosservata: “Non essere normali è una cosa tremenda, lo so benissimo, io per prima ho il mio bel daffare a fingere di esserlo”.

C’è un evoluzione in Tove, un cambiamento, che è scandito dalla presenza della madre. Figura ingombrante all’inizio, con la quale non sa come rapportarsi, che tende a scomparire mano mano che si va avanti nella narrazione. Tove inizia a comprendersi senza il paragone con lei. A farsi indipendente mediante le parole che scrive nel suo quaderno. A non cercare più il suo affetto.

“Alle mie spalle ci sono l’infanzia e la scuola, davanti a me una vita ignota e temuta, in mezzo a estranei”, conclude, lasciandoci in attesa. E io sono davvero curiosa di leggere il seguito.

“Infanzia” è un libro denso, capace di immergere del tutto il lettore in un’atmosfera cupa e disordinata, conoscendo un personaggio unico che sono certa, avrà modo di stupirci ancora.

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