“Nessuno scompare davvero” di Catherine Lacey: cosa vuol dire davvero “scomparire”?

“Alcune mattine, pur essendo me stessa, vorrei comunque essere una cosa che fugge lontano da me piuttosto che quella cosa cucita dentro di me per sempre”. Vi siete mai sentiti in questo modo? Avete mai avuto un “bufalo” dentro di voi contro cui lottare?

“Nessuno scompare davvero” di Catherine Lacey (SUR) è un libro stupefacente che va letto con la consapevolezza che non si potrà rimanere indifferenti alla storia di Elyria.

LA TRAMA – Elyria, 28 anni, ha un lavoro stabile e un marito a New York: ma un giorno, senza dare spiegazioni, molla tutto e parte con un volo di sola andata per la Nuova Zelanda. Passerà mesi a vagare in autostop fra le campagne di quel paese sconosciuto, incrociando le vite di altre persone e tentando di dare un po’ di pace alla sua. Scopriamo che Elyria ha un passato difficile (una madre alcolizzata, una sorella adottiva suicida, allieva del professore che è poi diventato suo marito), ma la fuga non è causata da crimini o violenze: nasce da un malessere esistenziale tanto profondo quanto difficile da definire; e il romanzo è, di fatto, un viaggio nella mente della narratrice, capace di osservazioni acutissime sul mondo, ma anche preda di improvvisi squilibri; dentro di lei, dice, si muove un bufalo riottoso che non riesce a placare.

Elyria vorrebbe “diventare una versione più esatta” di se stessa. Solo che ha “perso di vista anche l’ombra della speranza di diventare una persona migliore”. Allora parte e va via, fino a quando giunge a una consapevolezza, la più brutale di tutte: “Non sarei mai scomparsa da me stessa”.

Avrei sempre saputo con esattezza dov’ero e dov’ero stata e non mi sarebbe mai successo di svegliarmi e non essere me, e non importava quanto poco mi sembrava di capire i miei casini perché qualunque cosa facessi non sarei mai scomparsa da me stessa, ed era questo che desideravo da tanto tempo, scomparire del tutto: non si scompare in quel modo, è un lusso che non è mai stato concesso a nessuno e nessuno potrà mai averlo.

Io credo che il malessere di Elyria non sia legato agli eventi del suo passato, credo che una fragilità emotiva così radicata sia sempre stata latente, sottesa, che sia scattata come una molla solo quando era troppo. Decide di scomparire sei anni dopo il suicidio di Ruby, senza nemmeno capire se è partita il giorno dell’anniversario in modo cosciente oppure no. Perché sei anni dopo? Cosa è successo davvero?

Niente. “Sono solo una portatrice di cervello come chiunque altro, e nessuno sa come si fa a riparare se stessi, non del tutto se non altro, non abbastanza bene”. Una spiegazione tanto semplice quanto destabilizzante.

Come si fa a riparare se stessi? Come si fa a non rompersi? Come si fa a non sentirsi come “un mucchio di elastici aggrovigliati e penne con l’inchiostro secco e graffette appiccicose, come il contenuto di un cassetto dove uno mette le cose che non sa dove infilare”?

Elyria non lo sa, forse non lo saprà mai. Il suo viaggio è lungo ma sembra sempre all’inizio. Lo stile narrativo dell’autrice è unico, incalzante, tiene con il fiato sospeso: sembra sempre che stia per succedere qualcosa di brutto, anche se poi il pericolo non viene dell’esterno (fare l’autostop è molto pericoloso, si sa), ma dal “bufalo”, troppo ingombrante per non essere anche lui un personaggio del romanzo.

Lo sapevo che la mente e il corpo sono connessi e che le mie sensazioni fisiche non erano altro che messaggi inviati dal mio cervello, ma avrei tanto voluto una scatola o un cassetto o un buco in terra per disfarmi di tutta quella roba, tutta quella materia mentale e corporea di cui non sapevo proprio che fare. 

Grazie alla libreria Modusvivendi e a SUR ho avuto modo di conoscere e scambiare quattro chiacchiere con Catherine. È stato molto emozionante e i suoi occhi mi hanno raccontato molto di lei. Molto più di quanto abbiano fatto le sue parole.

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